Nei giorni antecedenti la prima rappresentazione de “La Luna dei Borboni” lo spettacolo è stato visto da alcuni esperti e studiosi della poetica di Vittorio Bodini per esprimere una recensione di gusto sul progetto.

La luna dei borboni è la prima raccolta poetica di Vittorio Bodini, pubblicata nel 1952. Si tratta di un’opera originale, distante tanto dall’esperienza ermetica quanto dalla poesia italiana del secondo dopoguerra che si apre alla realtà e all’impegno. Le liriche della Luna sono ricche di immagini di un Sud amaramente ritrovato dopo la permanenza nella Roma barocca dell’amico Ungaretti e l’esaltante esperienza in Spagna (“Quando tornai al mio paese al Sud /io mi sentivo morire”).

L’origine di queste immagini viene svelata dallo stesso poeta in una lettera a Oreste Macrì del 1950 “Ora questo Sud è mio; come le mie viscere io l’ho inventato”. La parola di Bodini, infatti, non vuole cogliere il dato paesaggistico, nè quello etnografico della sua terra, persino i colori si rivelano colori dell’anima, del ricordo, frutto di una visione filtrata dall’io che percorre luoghi ed oggetti, come le tele dei pittori più amati (Chagall, Van Gogh, Rouault, Klee, Mirò). Il salento bodiniano è surreale e metafisico, il risultato sincretico di un Salento, arcaico e barocco al tempo stesso, e di una Spagna scoperta tra Gongora, Lorca e il folklore gitano.

Il Salento di Bodini è inquietudine, rabbia e rassegnazione, solcate a tratti dalle visioni di un passato preistorico/borbonico inquietante (“capre e spettri di capre morte da secoli” ; “…e noi quieti fantasmi discorreremo dell’unità d’Italia”) in un’atmosfera magica ed evocativa (“Viviamo in un incantesimo/ tra palazzi di tufo”; “Tre bambine che saltano alla corda/ arancio, limone, mandarino).

I versi della Luna sono fitti di sinestesie (le amare giade dell’insonnia, camicie silenziose), simboli/totem (la luna, la pietra, il cavallo), metafore analogiche (la pianura di rame, campanile di sughero).

La traduzione di questo linguaggio poetico così raffinato e criptico è operazione ardua, soprattutto se il codice verbale deve divenire gesto, movimento, musica. Il segreto di un buon traduttore, come ci insegna il Bodini ispanista, è cogliere lo spirito del testo, non la sua forma esteriore.

Chi guarda il balletto La luna dei Borboni si ritrova immerso nello spirito della Luna bodiniana, in quella festosa malinconia ravvivata dagli accenti ispanici, in quell’accenno così pudico alla pizzica, nei silenzi e nell’assenza di ogni inutile dettaglio che riporti ad una realtà che si collochi in un tempo e in uno spazio definibili. La coreografia di Franzutti mette in scena quell’amore impossibile e doloroso per una terra che è madre e amante, eppure grembo ormai sterile che bisogna abbandonare per poter tornare a vivere, una madre-luna dal viso sfregiato come la “luna dei Borboni” (“Qui non vorrei morire dove vivere/ mi tocca, mio paese/ così sgradito da doverti amare”).

Prof.ssa Sonia Schilardi

LA LUNA DEI BORBONI

da una poesia di Vittorio Bodini
coreografie di Fredy Franzutti
musiche originali di
Rocco Nigro e Giuseppe Spedicato
set di Fredy Franzutti
nuova creazione
produzione n°42 FF 2021
durata: 50 minuti